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Vallabrègues

Festa della cesteria di Vallabrègues

 

vallabregues01Dopo un lunghissimo viaggio – quasi infinito – da Urbino a Vallabrègues, eccoci arrivati. Siamo un gruppo di soci dell’Associazione SaliceVivo venuti a partecipare alla “Fête de la vannerie” a Vallabrègues, un piccolo paese di poco più di 1000 abitanti nella regione della Linguadoca-Rossiglione della Francia.
È un paese che si dedica alla cesteria: botteghe, produttori di salice e perfino un museo (il “Musée municipal de la vannerie et de l’artisanat”). Tutto qua parla di un antico mestiere più vivo che mai.vallabregues02
L’incontro si svolge in un bel parco con piante di acero centenarie che, nonostante la loro mole, non riescono a fornire riparo ai visitatori dal duro sole di fine agosto. Il parco è rigorosamente recintato con staccionate di vimine: dentro si trovano le strutture che ospitano gli espositori, un bar, un piazzale con tavoli, sedie e un punto di ristoro… è un luogo di incontro dove per primo salutiamo un nostro maestro, Philippe Guerinel, che negli anni passati è venuto nella sede di SaliceVivo ad Urbino a fare dei corsi.
vallabregues12Torniamo agli espositori. Mi rendo conto, guardandoli, che il luogo d’incontro è anche opportunità di confronto e scoperta di quanto ancora devo imparare.
Faccio alcune considerazioni: perché i loro cesti sono più belli dei nostri? Forse perché hanno un materiale di intreccio diverso, più lungo, tutto uguale di dimensione, svariati colori, ciò rende il cesto più armonioso. E c’è una grossa differenza tra noi e loro: mi trovo davanti a professionisti della cesteria, mentre noi non faciamo cesti per mestiere.

In Francia c’è una forte tradizione di cesteria, molto maggiore rispetto all’Italia. Le persone usano i cesti per fare la spesa, nei negozi espongono i prodotti in cesti locali. A Vallabrègues si respira questa tradizione camminando per le strade del paese e notando, per esempio, nei giardini delle case la vasca in muratura per mettere in acqua i vimini.

Girando tra le bancherelle della festa, vedo cesti piccoli, grandi, di forme strane; un espositore ha una montagna di cesti bianchi tutti uguali; un artigiano tedesco lavora continuamente sotto il sole, le sue mani sembrano una macchina impostata per una produzione automatica, tanto è veloce e preciso, sforna cesti anche di una certa complessità in poco tempo: il risultato è impeccabile. Niente da dire!

Un signore anziano di nome Leo, catalano, seduto al centro di uno slargo propone laboratori. Intorno a lui i bambini fanno cestini semplici con il midollino, che – mi spiega – è il cuore del rattan.
Si è tenuta un bellissima sfilata storica su i cestai del paese, con carrivallabregues16 traboccanti di cesti, trainati da cavalli; le donne e gli uomini in costume tipico dei primi del ‘900, quando il mestiere di cestaio era praticamente l’unico nel paese.
Non poteva mancare la visita al Museo della cesteria e dell’artigianato dove in mostra ci sono tutti i tipi di attrezzi usati per l’intreccio -rigorosamente in legno-, cesti di ogni fattura, foto e filmati d’epoca.
vallabregues17Vallabrègues è un’esperienza molto interessante per gli stimoli nuovi, nuove forme, tecniche straordinarie e materiali bellissimi: vi consiglio di andare almeno una volta  alla Festa della cesteria. È una gran bella esperienza!

Liberamente tratto dalla relazione di Carlo Borghi al ritorno dalla Festa di Vallabrègues

Severino Todari

“Riné” Todari, 75 anni di mestiere

Severino “Riné” Todari è l’indiscusso maestro del crino marchigianocrino marchigiano (o crina, a seconda delle zone), ha imparato da suo padre quando era bambino e ha fatto crine e crinelle per tutta la sua vita, oramai sono 75 anni di “mestiere”: un’istituzione. Io ho avuto il piacere di incontrarlo un paio di volte negli ultimi anni, l’ultima qualche giorno fa quando siamo andati a trovarlo a casa sua a San Lorenzo in  Campo.
Complice la bella giornata, ci aspettava sulla strada, col suo bastone e ci ha apostrofato: “stavo facendo un giro, non arrivavate mai!”. Severino, da quel che lo conosco è così, diretto e onesto, uno cui piace la battuta e te la dice con l’occhio che già ride.

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Entriamo nel laboratorio e immediatamente ci accorgiamo che, nonostante l’età e gli acciacchi, ancora lavora e tanto. Sulla parete
ci sono appesi ad asciugare cesti da pesca e crinelle alternati in bell’ordine, sul tavolo sottostante panari e cesti elaborati.
Sedie di legno con sedute rifatte in salice bianco stanno sparse un po’ ovunque, il camino è acceso e gli attrezzi sono sul bancone
da lavoro (assieme ad un fondo rotondo di salice bianco ben stretto nella morsa): li ha affilati in attesa del nostro arrivo, pensava  volessimo lavorare con lui e ce li ha preparati.

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Un gesto gentile di una persona gentile che ha sempre condiviso con piacere le sue conoscenze con tutti quelli che hanno chiesto di imparare. Già perché Severino è una di quelle rare persone che è felice di insegnare tutto quello che sa, un maestro nel vero senso del termine, competente e saggio, ma al tempo stesso di un’umiltà disarmante: cosciente che l’arte della cesteria è un patrimonio immenso, è sempre curioso di farsi mostrare tecniche o materiali che lui non conosce, e ti osserva e ascolta con attenzione, facendoti domande mirate e finendo per capire e imparare nel giro di pochissimo tempo.

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Abbiamo passato un’oretta a guardare i suoi lavori chiacchierando di lui, di tecniche e di materiali, Daniela gli ha chiesto dove avesse imparato a fare certi motivi che ricorrevano nei cesti ancora freschi in bella mostra sul bancone e lui con aria sorniona le risponde che quelle sono “todarate”, ovvero invenzioni tutte sue, viste chissà dove  e rifatte con estrema sapienza. Lo stesso è per le sedute in salice bianco, ha preso l’abitudine di rifare col salice quello che tutti gli
altri fanno con la corda!

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Scendiamo in cantina a vedere il salice raccolto e messo a bagno in attesa che sia il momento di sbucciarlo. Da qualche anno è il
genero che pota i salici per lui, Severino non deve fare sforzi, anche se scopriamo dai simpatici battibecchi con Maria, sua moglie, che Riné non è così ligio come vorrebbero… “faccio quello che mi sento e che ho voglia di fare… perché, se non ho voglia di fare una cosa che non mi va giù, manco morto!” e ride, con Maria che lo redarguisce perché comunque ne fa troppe. Sono insieme da 58 anni e sono bellissimi da vedere, lui sereno e tranquillo, lei si agita e va in confusione. Lei dice una cosa e lui obbedisce facendo un po’ come vuole… e sorridono. Sorridono tanto, lui fa battute e lei ammette che fa “cagnare a fondo perduto”, nel senso che tanto sa che è un gioco di equilibri e a volte vince e a volte no.
Saliamo a prendere un caffè, Severino e Maria hanno una bella famiglia, figli, nipoti e pronipoti, le cui foto stanno sparse un po’
dappertutto, persino su un cuscino. Ai muri alcune foto dei “momenti di gloria” di Severino (la partecipazione a Geo&Geo) e il
premio che gli abbiamo dato noi lo scorso anno. Si chiacchiera e lui ci racconta della sua vita, è sereno e felice di quel che ha fatto e di quel che ha costruito col suo lavoro, un uomo in pace con se stesso e col mondo. “Severino, il momento più bello?” chiede Viviana, e lui ci racconta che la più grande soddisfazione della sua vita è stata quando riuscì a trasferirsi in quella casa e in quel podere e portando con lui suo padre anziano e malandato.

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Il primo anno che si trasferirono, avendo piantato già la vigna mentre tiravano su la casa, poterono fare la vendemmia e nonostante le difficoltà Riné volle portare il padre in cima alla vigna sulla sommità della collina dietro casa e da lì suo padre, mezzadro per tutta la vita, vide e si rese conto che quell’uva e quella vendemmia erano finalmente tutte loro. Questo e altri ricordi di famiglia sono le medaglie di cui Riné va giustamente fiero.

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Alla domanda di Daniela: “Ma Severino, voi, cos’è che desiderate adesso?” lui ridacchia guarda fuori della finestra e risponde: “e che desidero? Di vedere il mondo non è cosa, tanto lui va avanti senza di me. Vedi, io mi metto qua, guardo San Lorenzo… di giorno vedo le case… di notte le luci… e che desidero?” e ti sorride. severino025Un uomo sereno, felice di quel che ha, fiero di quel  che ha fatto,  curioso di imparare ancora come pochi, sempre disponibile, in definitiva un gran maestro e una gran  persona, perché come dice un mio amico catalano “non puoi essere uno se non sei prima l’altro”.

Betta Calzini

Severino a Mani che Intrecciano 2015

Corso di cesto Catalano

Il Cesto catalano – CISTELL DE BOLETS
Novembre 2013

Nel mese di novembre 2013, l’Associazione SaliceVivo ha organizzato un corso sul più tradizionale dei cesti catalani: il “CISTELL DE BOLETS”, cioè il cesto per funghi della regione spagnola della Catalogna. Il corso si è tenuto nella sede di SaliceVivo da Josep Mercader e sua moglie Magda, con la partecipazione di numerosi soci.

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Il cesto per funghi o “cesto catalano” – come viene chiamato in Italia – è un cesto ovale, di salice e canna nella sua variante più tradizionale, con un fondo a griglia (cul de queixal) che è più rotondo e piccolo rispetto alla bocca del cesto, che tende ad essere ovale. Il manico, di solito, è “posticcio” e avvolto da vimini: un’arco di salice grosso che è ricoperto da alcuni montanti.

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Si tratta di un cesto veramente robusto e polifunzionale: non solo per funghi ma anche per fare la spesa, raccogliere frutti dall’orto e altri “lavori” gravosi.

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Josep Mercader è un professionista della cesteria; i suoi lavori spaziano dalla cesteria tradizionale alle architetture con materiali vegetali.

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Sua moglie, Magda, si dedica anche lei alla cesteria, intrecciando e sperimentando materiali diversi, ad esempio ceramica e salice.

Sia per i partecipanti, sia per i docenti che hanno tenuto il corso, si è trattato di un’esperienza unica ed eccezionale a livello professionale e personale.

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Per sapere di più su quanto realizzato in questo corso potete consultare l’articolo sul blog di Josep Mercader

leggi anche “Prima del cesto“, riflessioni di Valentina Spinetti

Prima del cesto

Intrecci e nuove esperienze

Sono nella sede di Salicevivo, l’Associazione che a Urbino si dedica all’intreccio del salice e di molto altro ancora. E’ una casa rustica, immersa nel verde e in perfetta sintonia con il paesaggio che la ospita. In ogni angolo, interno ed esterno, c’è un manufatto con qualsiasi fibra si trovi nei dintorni.pri010
Per questo motivo potrei essere anche in un altro luogo del mondo, in una delle tante località sperdute dell’Asia, dell’Africa o dell’America Latina dove gli involucri non sono frutto di operazioni industriali e i materiali utilizzati per gli oggetti della vita Il giardinoquotidiana provengono da ciò che la terra offre, talvolta spontaneamente, ma soprattutto attraverso il duro lavoro di chi in simbiosi con i ritmi della natura si dedica alla produzione delle materie che servono al sostentamento e alle esigenze quotidiane personali.   pri006   Sono qui perché oggi ci sono Josep e Magda, due abilissimi artisti dell’intreccio. Devo ammettere che quando mi è stato proposto di partecipare a questo incontro didattico-culturale, di cui parlerò in seguito, ero alquanto titubante.
Sono una neofita dell’intreccio e dover realizzare un cesto così come questi sconosciuti maestri ci diranno, mi mette un po’ di agitazione. Gli altri che oggi si trovano qui in procinto di fare la stessa cosa, sono esperti intrecciatori e per loro sarà semplice eseguire i passaggi che ci comunicheranno. Un’altra volta avevo provato a fare un cesto sotto la guida dei miei compagni odierni.
Mi avevano detto che ci avremmo impiegato parecchio tempo e non essendo esperta avevo sottovalutato il grande lavoro che occorre per realizzarlo.
Quella volta, uscii felice, con un bellissimo canestro, che mostrai a casa con orgoglio, ma consapevole che da sola non sarei stata in grado di riprodurlo, anche se erano state le mie mani a eseguire ogni passaggio, imitando e ascoltando chi era più esperto di me e che pazientemente si prodigava ad insegnare quell’arte antica e attuale che sancisce la continuità con il passato.
Sempre in quell’occasione fui consapevole che tutto quel lavoro era soltanto una parte irrisoria del totale.
Un giorno mi proposero di andare con loro a potare il salice, suggerendomi di mettere gli scarponi. Accettai volentieri, prefigurandomi di trascorrere un pomeriggio all’aperto in un giardino delimitato da alberelli e giudicai eccessive le calzature consigliate, ma ubbidii e mi recai all’appuntamento in perfetta regola. Andammo ugualmente, anche se piovigginava, perché mi dissero, il salice tra breve, avrebbe messo le gemme, vanificando in parte la possibilità di trasformare quegli esili steli flessibili in manufatti dagli usi diversi. Una volta a destinazione, notai con stupore che il giardino si trovava nella mia immaginazione. I salici ci aspettavano su una scarpatella, raggiungibile solo dopo aver attraversato un terreno impervio e fangoso. Una persona in bilico sulla pianta tagliava i grossi rami. Con stupore guardai ammirata le diverse operazioni che sancivano l’inizio di un lungo successivo lavoro, eseguito in gruppo con sintonia e collaborazione. Riflettei immediatamente su quanto questa attività, in cui era necessaria coordinazione, fosse coinvolgente e socializzante, ma anche faticosa. I grandi rami tagliati rimanevano aggrovigliati tra loro e occorreva che qualcuno li allontanasse da lì prima che altri rami cadessero sopra in un inestricabile groviglio. Una persona li trascinava velocemente in un altro posto e altre mani attingevano dal mucchio per dividere con le forbici quella gran quantità di materiale in rami di omogenea dimensione, mettendo i vari scarti – anch’essi suddivisi per tipologie, e quasi tutti comunque riutilizzabili in qualche modo – da un’altra parte.
Sottolineo ancora che tutto ciò non veniva fatto su suolo pianeggiante e lineare, ma sul bordo di un piccolo fosso, rimanendo con i piedi quasi sempre nell’acqua.
Mucchi e mucchietti di salice erano sparpagliati per terra, pronti per essere legati con una corda o con il giunco stesso e trasportati su un furgone, diretto nell’aia dell’Associazione.
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A questo punto non potevo mancare alle fasi successive dell’”operazione cesto”. La suddivisione non era ancora terminata! Quando, un paio di giorni dopo, arrivai nella sede di Salicevivo, molti erano già al lavoro.
Questa volta lo spazio era confortevole e facilmente agibile. Seduti in cerchio avevano iniziato l’ultima fase di riduzione ai minimi termini del salice, detta in gergo “capatura”, che consisteva nello slegare ogni singolo mucchio e adagiarlo sul terreno dove, quasi con gesto rituale, gli esperti ammiravano compiaciuti i rami e li separavano tra loro, in modo tale da rendere singolo ogni giunco, scartando ciò che non veniva giudicato idoneo all’intreccio.
Mi unii volentieri a quel ciarliero consesso. Munita di forbici da pota, mi adeguai agli altri, riponendo ogni stelo in un secchio, nonostante avessero lunghezze diverse. Mentre ero assorta in questi pensieri, prontamente una si alzò. Con grande maestria fece scorrere tra le dita il materiale separato e battendolo al suolo con gesti di semi prestidigitazione, ottenne mazzetti differenti a seconda della misura.
Chiesi se a questo punto fosse stata completata ogni fase preparatoria, ma ridendo mi risposero in coro che senza mettere in bagno il materiale e averlo fatto successivamente asciugare sarebbe stato difficile confezionare un cesto resistente. Nel frattempo erano arrivati altri volontari che si erano uniti al gruppo, tra chiacchiere e succulenti spuntini. Era quello uno spazio aperto in tutti i sensi, dove ognuno entrava e usciva a seconda delle competenze e del tempo a disposizione. Ogni contributo era prezioso e necessario alla finalità da raggiungere, ma costituiva anche una piacevole esperienza conviviale.
Riflettendo sulla genesi del mio essere qui oggi, incontro Josep e Magda, venuti dalla Catalogna ad insegnare il cesto più rappresentativo della loro terra. Ispirano simpatia.
Siamo in tanti.
Ci sistemiamo in una stanza accogliente, piena di salice di diverso colore, dimensione e lunghezza. Nei giorni precedenti anche altri del gruppo di Salicevivo hanno fruito di ciò che oggi ci accingeremo a fare. Josep e Magda ci mettono subito a nostro agio. Il cesto non sembra presentare particolari difficoltà.pri015
Anche io, aiutata nei passaggi più difficili da Magda, me la cavo egregiamente, fin quando non arrivo alla treccia finale del cesto, alquanto complicata. Con pazienza la donna, mi permette di superare l’ostacolo, seguendomi e guidandomi in ogni passaggio. Essendo in due si possono occupare di chi di volta in volta necessiti di un aiuto aggiuntivo, infatti, Josep realizza il cesto lentamente, fornendo tutte le spiegazioni, mentre la moglie esegue materialmente i passaggi di chi s’inceppa, in modo che nessuno rimanga indietro.pri016
Io sono quella che beneficia maggiormente della sua presenza. Il pavimento è ricoperto di scarti. Che confusione, tutte le sfumature del salice, aggrovigliate, sono sotto i nostri piedi a colorare la stanza. Qualcuno cerca di dare un tocco personale al cesto che sta per terminare, inserendo un nastro o facendo passare un giunco di colore contrastante intorno al manico, mentre canticchia e non permette a un altro di ascoltare Josep che racconta della sue molteplici attività legate al mondo dell’intreccio.
Avremo comunque modo di confrontarci, di rivelarci le reciproche esperienze bucoliche, e non solo, a tavola, dove ci attendono semplici, ma gustose pietanze portate da tutti. Josep e Magda, anche loro soddisfatti della giornata, raccontano, infatti, aneddoti del loro lavoro, ascoltando con attenzione le esperienze di noi tutti.pri018
Alcuni hanno delle capacità notevoli e molta creatività, riuscendo ad apportare modifiche estemporanee in corso d’opera o a concepire oggetti ornamentali o d’uso comune secondo l’estro del momento o la studiata progettualità per dar luogo ad opere uniche.cesto catalano
E’ bello fruire dell’esperienza di tante persone, che in diversa misura hanno la passione dell’intreccio. Per me è un privilegio essere qui oggi. Non so se diventerò una brava intrecciatrice, ma sono affascinata da questa arte che rende possibile il contatto con il territorio: un incontro vero con la campagna umanizzata, resa tale dal lavoro dell’uomo. Tenendo tra le mani uno qualsiasi degli oggetti intrecciati, è un po’ come istaurare un contatto diretto, profondo e interiorizzato con l’intero processo che ha dato luogo al manufatto, opera non solo del singolo che materialmente l’ha intrecciato, ma di tutti coloro che collettivamente lo hanno reso possibile, a cominciare da chi ha piantato il salice e ha curato il terreno che lo accoglie.
Ricordo che da bambina andavo a vendemmiare con un paniere grandissimo, per le mie piccole mani. Era consumato e alcune parti non s’incastravano più perfettamente tra loro, così fuoriuscivano, procurandomi dei piccoli sgraffi. Allora non attribuivo nessun valore particolare a quel contenitore che tuttavia non ho scordato e che ora emerge nei pensieri come un filo che mi lega alle origini.
Ero cresciuta su una scalinata che faceva da strada, delimitata dalla casa in cui abitavo. Sui gradini intrecciavano le nasse e mani frettolose riparavano quelle rotte, logorate dalla pesca. Quello era il mio terreno di gioco e ora attribuisco a quell’oggetto fatto di giunchi un legame con il mare. Ora più che mai comprendo perché sono attratta da quest’arte che racchiude l’essenza di un territorio e della cultura materiale che lo rappresenta. L’ho scoperto frequentando gli amici di Salicevivo, che si confrontano con le eccellenze di altri luoghi, di cui Josep e Magda costituiscono una delle espressioni più alte. Vedo le loro immense realizzazioni che ci mostrano in un video.
Si tratta di istallazioni mastodontiche e fantasiose.
Noi dovremo accontentarci ora di cimentarci con qualcosa di meno pretenzioso, ma non per questo riduttivo. Siamo scesi tutti in cortile, lo stesso in cui si fa la “capatura”. Ci divertiamo a dividere le canne, e non è semplice, per creare con queste altri intrecci e nuove esperienze.

Valentina Spinetti

Corso di Zarzo

Corso di Zarzo - Salicevivo, Urbino

Corso di Zarzo

SALICEVIVO – Associazione culturale per l’arte dell’intreccio

Organizza per i giorni 14 e 15 maggio 2016 il corso di Zarzo!
Lo zarzo è un cesto tradizionale delle Asturie.
Originariamente era un semplice vassoio fatto di nocciolo ed era usato per tenere i formaggi a stagionare.
Con il tempo e le contaminazioni, ne sono state fatte tantissime varianti, quella che si propone in questo corso è in salice e “chiusa”.

Il corso è per non residenti e si fa presso l’Agriturismo “La Badia (www.agriturismolabadia.it). L’arrivo è previsto nella mattinata di sabato 14 maggio, la partenza domenica 15 nel primo pomeriggio.
Numero di partecipanti: minimo 6, massimo 16.

programma corso:
sabato 14 maggio: ore 15-18 inizio corso, prenderemo in visione diverse varianti del cesto con spiegazioni teoriche di base sulle possibili varianti. Inizio della costruzione del cesto.

domenica 15 maggio: ore 09.30-13.00 completamento del cesto con le finiture e alcune varianti della chiusura del manico.
Pranzo di chiusura corso.

Le seguenti quote di partecipazione comprendono pernottamento del sabato; prima colazione e pranzo della domenica (escluso vino); corso, comprensivo di maestro, materiali e attezzatura necessaria. Non comprende la cena del sabato sera che però potrà essere richiesta/prenotata/concordata con l’agriturismo

quota in singola: Euro 100
quota a persona in doppia: Euro 86
quota a persona in tripla: Euro 82
quota a persona in quadrupla: Euro 80
per eventuali accompagnatori che non fanno il corso, vanno tolti 40 Euro dalle quote sopra indicate.

Per iscrizioni entro e non oltre il 25 aprile, chiamare 3405753502.

Al momento dell’iscrizione andrà fatta la prenotazione presso l’agriturismo, con eventuale versamento di caparra.
Per i residenti in zona, la disponibilità di posti e le quote vanno chieste a parte, telefonando al numero sopra.

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Festiwal Wikliny

3° FESTIVAL MONDIALE DEL VIMINE E DELL’INTRECCIO

Festiwal Wikliny – Nowy Tomyśl (Polonia) , 21-23 agosto 2015 (3rd World Willow and Weaving Festival)

Seguendo il desiderio di approfondire le conoscenza e per poter scambiare esperienze con culture diverse, Salicevivo ha partecipato nel 2015 al 3° Festival Mondiale del Vimine e dell’Intreccio che si è svolto in Polonia con una delegazione guidata dalla presidente Viviana Reggiani e alla quale hanno partecipato Carlo Borghi, Antonio Giannotti, Francesco Di Nicola e Vittoria Martinelli.

Questo evento mondiale – che si è tenuto nella città di Nowy Tomyśl con la partecipazione di oltre settanta nazioni – prevedeva un Concorso di intreccio che consentiva a tutti i partecipanti di conoscersi e scambiare diversi modi di lavorare, così come di scoprire dimensioni nuove di questa attività artigianale che in molti casi è una vera e propria professione. Secondo l’organizzatore della manifestazione, Andrzej Pawlak, lo scopo del Concorso era quello di trasmettere un messaggio chiaro: che, nonostante si viva in una società automatizzata e computerizzata, il rapporto tra le mani e l’anima dell’uomo non potrà mai essere sostituito da una macchina. Il Concorso è una parte centrale del Festival; al suo interno sono previste diverse categorie: cesti, mobili, oggetti d’arte, oggetti architettonici.

Durante la manifestazione si è svolto un interessante dibattito su “Intreccio e società” e sul ruolo che questa attività ha nel rendere possibile il dialogo fra le persone. Sono inoltre state presentate esperienze che sviluppano l’intreccio come metodo di terapia nelle scuole, con i disabili e nelle carceri.

All’interno del parco che ospitava la il Festival vi era uno spazio dedicato agli espositori con vari stand in cui erano esposti oggetti e opere d’arte in vimini che raccontavano la cultura e la storia dei rispettivi paesi di provenienza.

Molto significativo è stato il corteo che ha attraversato tutta la città e al quale hanno partecipato i rappresentanti di tutte le nazioni presenti alla manifestazione con le proprie bandiere e con i costumi tipici: la delegazione di Italia era costituita dal gruppo di SaliceVivo. Si è trattato di un corteo coloratissimo che è partito dal “Cesto più grande del mondo” e che, passando per le vie principali, è giunto fino al Parco della manifestazione per aprire la festa. Con grande piacere, SaliceVivo ha anche contribuito alla realizzazione dell’intreccio più lungo del mondo che si è snodato in senso inverso a quello del corteo e che ha collegato il Parco al “Cesto più grande del mondo”.

Francesco Di Nicola

Edizione 2016

Mani che intrecciano – edizione 2016
Organizzato da SALICEVIVO
DATA  EVENTO: sabato 18 e domenica 19 Giugno 2016

mani che intrecciano

Salicevivo  organizza a Urbino, in Piazza San Francesco, il 18 e 19 giugno 2016, la seconda edizione di “Mani che intrecciano”. La manifestazione è riservata principalmente ad artigiani e artisti cestai e intrecciatori di materiali naturali, ma è aperta anche ad altri materiali (carta, metallo…) e tecniche di intreccio quali macramè, tombolo, tessitura (telai di ogni tipo), forcella, sprang e nalbinding (per tutte queste è previsto un solo posto per ogni tecnica)… continua a leggere.

I PARTECIPANTI DI QUESTA EDIZIONE

  • salicevivo – cesti (marche)
  • david e andreina dell’arte dell’intreccio – cesti (umbria)
  • silvia onofri – cesti (sicilia)
  • francesco perticone – cesti (sicilia)
  • josep mercader e magda – cesti (catalogna, spagna)
  • noa e famiglia (umbria)
  • bianca maria tomei – cesti (lazio)
  • francesco di nicola e vittoria – cesti (lazio)
  • nicola solimano e gabriela – cesti (lazio)
  • enrico et – impagliatura sedie (campania)
  • caio il cestaio e elis – cesti (veneto)
  • andrea perrotta – cesti (calabria)
  • carla e teresa di carta e oltre  -intreccio carta (lazio)
  • il merletto dei ricordi –  tombolo (marche)
  • la pao il mercatino – uncinetto e simili (marche)

Tutti i partecipanti di questa edizione, una rassegna fotografica delle due giornate e non solo.


Puoi anche visitare  
la pagina dedicata  a MANI CHE INTRECCIANO 2016

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