Salici

Prima del cesto

Intrecci e nuove esperienze

Sono nella sede di Salicevivo, l’Associazione che a Urbino si dedica all’intreccio del salice e di molto altro ancora. E’ una casa rustica, immersa nel verde e in perfetta sintonia con il paesaggio che la ospita. In ogni angolo, interno ed esterno, c’è un manufatto con qualsiasi fibra si trovi nei dintorni.pri010
Per questo motivo potrei essere anche in un altro luogo del mondo, in una delle tante località sperdute dell’Asia, dell’Africa o dell’America Latina dove gli involucri non sono frutto di operazioni industriali e i materiali utilizzati per gli oggetti della vita Il giardinoquotidiana provengono da ciò che la terra offre, talvolta spontaneamente, ma soprattutto attraverso il duro lavoro di chi in simbiosi con i ritmi della natura si dedica alla produzione delle materie che servono al sostentamento e alle esigenze quotidiane personali.   pri006   Sono qui perché oggi ci sono Josep e Magda, due abilissimi artisti dell’intreccio. Devo ammettere che quando mi è stato proposto di partecipare a questo incontro didattico-culturale, di cui parlerò in seguito, ero alquanto titubante.
Sono una neofita dell’intreccio e dover realizzare un cesto così come questi sconosciuti maestri ci diranno, mi mette un po’ di agitazione. Gli altri che oggi si trovano qui in procinto di fare la stessa cosa, sono esperti intrecciatori e per loro sarà semplice eseguire i passaggi che ci comunicheranno. Un’altra volta avevo provato a fare un cesto sotto la guida dei miei compagni odierni.
Mi avevano detto che ci avremmo impiegato parecchio tempo e non essendo esperta avevo sottovalutato il grande lavoro che occorre per realizzarlo.
Quella volta, uscii felice, con un bellissimo canestro, che mostrai a casa con orgoglio, ma consapevole che da sola non sarei stata in grado di riprodurlo, anche se erano state le mie mani a eseguire ogni passaggio, imitando e ascoltando chi era più esperto di me e che pazientemente si prodigava ad insegnare quell’arte antica e attuale che sancisce la continuità con il passato.
Sempre in quell’occasione fui consapevole che tutto quel lavoro era soltanto una parte irrisoria del totale.
Un giorno mi proposero di andare con loro a potare il salice, suggerendomi di mettere gli scarponi. Accettai volentieri, prefigurandomi di trascorrere un pomeriggio all’aperto in un giardino delimitato da alberelli e giudicai eccessive le calzature consigliate, ma ubbidii e mi recai all’appuntamento in perfetta regola. Andammo ugualmente, anche se piovigginava, perché mi dissero, il salice tra breve, avrebbe messo le gemme, vanificando in parte la possibilità di trasformare quegli esili steli flessibili in manufatti dagli usi diversi. Una volta a destinazione, notai con stupore che il giardino si trovava nella mia immaginazione. I salici ci aspettavano su una scarpatella, raggiungibile solo dopo aver attraversato un terreno impervio e fangoso. Una persona in bilico sulla pianta tagliava i grossi rami. Con stupore guardai ammirata le diverse operazioni che sancivano l’inizio di un lungo successivo lavoro, eseguito in gruppo con sintonia e collaborazione. Riflettei immediatamente su quanto questa attività, in cui era necessaria coordinazione, fosse coinvolgente e socializzante, ma anche faticosa. I grandi rami tagliati rimanevano aggrovigliati tra loro e occorreva che qualcuno li allontanasse da lì prima che altri rami cadessero sopra in un inestricabile groviglio. Una persona li trascinava velocemente in un altro posto e altre mani attingevano dal mucchio per dividere con le forbici quella gran quantità di materiale in rami di omogenea dimensione, mettendo i vari scarti – anch’essi suddivisi per tipologie, e quasi tutti comunque riutilizzabili in qualche modo – da un’altra parte.
Sottolineo ancora che tutto ciò non veniva fatto su suolo pianeggiante e lineare, ma sul bordo di un piccolo fosso, rimanendo con i piedi quasi sempre nell’acqua.
Mucchi e mucchietti di salice erano sparpagliati per terra, pronti per essere legati con una corda o con il giunco stesso e trasportati su un furgone, diretto nell’aia dell’Associazione.
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A questo punto non potevo mancare alle fasi successive dell’”operazione cesto”. La suddivisione non era ancora terminata! Quando, un paio di giorni dopo, arrivai nella sede di Salicevivo, molti erano già al lavoro.
Questa volta lo spazio era confortevole e facilmente agibile. Seduti in cerchio avevano iniziato l’ultima fase di riduzione ai minimi termini del salice, detta in gergo “capatura”, che consisteva nello slegare ogni singolo mucchio e adagiarlo sul terreno dove, quasi con gesto rituale, gli esperti ammiravano compiaciuti i rami e li separavano tra loro, in modo tale da rendere singolo ogni giunco, scartando ciò che non veniva giudicato idoneo all’intreccio.
Mi unii volentieri a quel ciarliero consesso. Munita di forbici da pota, mi adeguai agli altri, riponendo ogni stelo in un secchio, nonostante avessero lunghezze diverse. Mentre ero assorta in questi pensieri, prontamente una si alzò. Con grande maestria fece scorrere tra le dita il materiale separato e battendolo al suolo con gesti di semi prestidigitazione, ottenne mazzetti differenti a seconda della misura.
Chiesi se a questo punto fosse stata completata ogni fase preparatoria, ma ridendo mi risposero in coro che senza mettere in bagno il materiale e averlo fatto successivamente asciugare sarebbe stato difficile confezionare un cesto resistente. Nel frattempo erano arrivati altri volontari che si erano uniti al gruppo, tra chiacchiere e succulenti spuntini. Era quello uno spazio aperto in tutti i sensi, dove ognuno entrava e usciva a seconda delle competenze e del tempo a disposizione. Ogni contributo era prezioso e necessario alla finalità da raggiungere, ma costituiva anche una piacevole esperienza conviviale.
Riflettendo sulla genesi del mio essere qui oggi, incontro Josep e Magda, venuti dalla Catalogna ad insegnare il cesto più rappresentativo della loro terra. Ispirano simpatia.
Siamo in tanti.
Ci sistemiamo in una stanza accogliente, piena di salice di diverso colore, dimensione e lunghezza. Nei giorni precedenti anche altri del gruppo di Salicevivo hanno fruito di ciò che oggi ci accingeremo a fare. Josep e Magda ci mettono subito a nostro agio. Il cesto non sembra presentare particolari difficoltà.pri015
Anche io, aiutata nei passaggi più difficili da Magda, me la cavo egregiamente, fin quando non arrivo alla treccia finale del cesto, alquanto complicata. Con pazienza la donna, mi permette di superare l’ostacolo, seguendomi e guidandomi in ogni passaggio. Essendo in due si possono occupare di chi di volta in volta necessiti di un aiuto aggiuntivo, infatti, Josep realizza il cesto lentamente, fornendo tutte le spiegazioni, mentre la moglie esegue materialmente i passaggi di chi s’inceppa, in modo che nessuno rimanga indietro.pri016
Io sono quella che beneficia maggiormente della sua presenza. Il pavimento è ricoperto di scarti. Che confusione, tutte le sfumature del salice, aggrovigliate, sono sotto i nostri piedi a colorare la stanza. Qualcuno cerca di dare un tocco personale al cesto che sta per terminare, inserendo un nastro o facendo passare un giunco di colore contrastante intorno al manico, mentre canticchia e non permette a un altro di ascoltare Josep che racconta della sue molteplici attività legate al mondo dell’intreccio.
Avremo comunque modo di confrontarci, di rivelarci le reciproche esperienze bucoliche, e non solo, a tavola, dove ci attendono semplici, ma gustose pietanze portate da tutti. Josep e Magda, anche loro soddisfatti della giornata, raccontano, infatti, aneddoti del loro lavoro, ascoltando con attenzione le esperienze di noi tutti.pri018
Alcuni hanno delle capacità notevoli e molta creatività, riuscendo ad apportare modifiche estemporanee in corso d’opera o a concepire oggetti ornamentali o d’uso comune secondo l’estro del momento o la studiata progettualità per dar luogo ad opere uniche.cesto catalano
E’ bello fruire dell’esperienza di tante persone, che in diversa misura hanno la passione dell’intreccio. Per me è un privilegio essere qui oggi. Non so se diventerò una brava intrecciatrice, ma sono affascinata da questa arte che rende possibile il contatto con il territorio: un incontro vero con la campagna umanizzata, resa tale dal lavoro dell’uomo. Tenendo tra le mani uno qualsiasi degli oggetti intrecciati, è un po’ come istaurare un contatto diretto, profondo e interiorizzato con l’intero processo che ha dato luogo al manufatto, opera non solo del singolo che materialmente l’ha intrecciato, ma di tutti coloro che collettivamente lo hanno reso possibile, a cominciare da chi ha piantato il salice e ha curato il terreno che lo accoglie.
Ricordo che da bambina andavo a vendemmiare con un paniere grandissimo, per le mie piccole mani. Era consumato e alcune parti non s’incastravano più perfettamente tra loro, così fuoriuscivano, procurandomi dei piccoli sgraffi. Allora non attribuivo nessun valore particolare a quel contenitore che tuttavia non ho scordato e che ora emerge nei pensieri come un filo che mi lega alle origini.
Ero cresciuta su una scalinata che faceva da strada, delimitata dalla casa in cui abitavo. Sui gradini intrecciavano le nasse e mani frettolose riparavano quelle rotte, logorate dalla pesca. Quello era il mio terreno di gioco e ora attribuisco a quell’oggetto fatto di giunchi un legame con il mare. Ora più che mai comprendo perché sono attratta da quest’arte che racchiude l’essenza di un territorio e della cultura materiale che lo rappresenta. L’ho scoperto frequentando gli amici di Salicevivo, che si confrontano con le eccellenze di altri luoghi, di cui Josep e Magda costituiscono una delle espressioni più alte. Vedo le loro immense realizzazioni che ci mostrano in un video.
Si tratta di istallazioni mastodontiche e fantasiose.
Noi dovremo accontentarci ora di cimentarci con qualcosa di meno pretenzioso, ma non per questo riduttivo. Siamo scesi tutti in cortile, lo stesso in cui si fa la “capatura”. Ci divertiamo a dividere le canne, e non è semplice, per creare con queste altri intrecci e nuove esperienze.

Valentina Spinetti